Andrea Faliva: "Il bel giorno che conobbi Nelson"
Il tema di oggi è di strettissima attualità. La discriminazione razziale, l’intolleranza, con l’aggravante del bullismo scolastico. Andrea Faliva, nonostante la sua giovanissima età, mette a nudo questa grave piaga che nel suo racconto “ Il bel giorno che conobbi Nelson” inizia da una partita di calcetto. Lo sport, il calcio, altra grande passione del protagonista di oggi.
-Ciao Andrea, dalla tua biografia leggiamo che sei allenatore di calcio e scrittore. Una prima curiosità: ti piace più il calcio o la scrittura?
Dovendo scegliere, il calcio. L’ideale sarebbe lavorare a tempo pieno scrivendo di calcio. Questo infatti è uno dei miei sogni.
-Meglio Cristiano Ronaldo o Alex Del Piero?
Cristiano Ronaldo senza dubbio. Stiamo parlando di uno dei più forti calciatori della storia. Ha tutto: forza fisica, dribbling, velocità, elevazione, leadership.
-Entriamo nel tuo lavoro: come è nato “Il bel giorno che conobbi Nelson”?
Il libro vuole analizzare quei fenomeni attuali di emarginazione. Spesso quello deriso, messo in disparte è il diverso, percepito come una minaccia alla normalità. A scuola il bullismo viene fatto dal branco nei confronti del “nuovo” e del “diverso”. Nel libro, il protagonista verrà giudicato e preso di mira anzi tempo. I pregiudizi rappresentano il male della società e con questo libro ho voluto immedesimarmi in tale fenomeno dal punto di vista del bambino bullizzato, analizzando i suoi stati d’animo, le sue paure e la sua determinazione a non darla vinta al branco.
-Quanto tempo hai impiegato per scriverlo?
Ho scritto questo libro due anni fa. Molte pagine le ho scritte in treno, di ritorno dall’ università. In tre mesi ho completato la storia, che inizialmente volevo tenere per me. Ho capito col tempo che farsi leggere e proporre le proprie idee al pubblico sia molto più utile. Le opinioni e le opere vanno condivise, perciò nella mia lunga quarantena, visto che abito nel territorio lodigiano, ho deciso di inviare il testo a molte case editrici.
-Sei soddisfatto del lavoro?
Sono complessivamente soddisfatto del mio lavoro. Mi auguro che il messaggio che intendo far passare sia capito dai lettori. Non amo la retorica ne coloro che ti fanno la morale, quindi non mi piacerebbe aver dato questa impressione nel mio scritto.
-Chi è Momo? Quanti Momo ci sono oggi in Italia?
Momo è uno di quei tantissimi ragazzi che vengono catapultati in una realtà nuova. In un Paese con lingua e cultura diversa. Nel nostro Paese ce ne sono moltissimi, molti di loro li alleno quotidianamente. A volte alcuni assumono un atteggiamento di sfida ed in qualche modo contribuiscono all’esclusione sociale, mentre altri pur comportandosi bene, vengono sempre in qualche modo “osservati speciali” specialmente dai genitori degli altri ragazzi. Perché in molte famiglie si pensa che sia nello straniero il volto della violenza, con stereotipi del tipo: “Non sono come noi, in famiglia vedono il padre picchiare la madre. Crescono nella violenza” oppure “stai lontano da lui, esce con i fratelli più grandi, spaccerà sicuramente”. Tutti luoghi
comuni che la politica odierna in qualche modo accentua, specialmente sui social.
-Ci sarà mai una piena integrazione?
La piena integrazione sarà possibile soltanto quando il rispetto per le differenze verrà valorizzato invece che stigmatizzato. Attualmente nel clima di violenza verbale che circola in rete, e nei discorsi comuni della gente nei bar, non credo sia auspicabile nel breve periodo. Del resto, se nel 2020 fischiamo ancora Balotelli perché nero e quindi non italiano, penso sia difficile che quegli uomini insegnino il rispetto della diversità ai loro figli. Spetta quindi alla scuola, il ruolo principale in questa lotta. Del resto il razzismo lo si combatte con la cultura e non con le armi, ne a colpi di Tweet o like.
-Come ti sei trovato con la Casa editrice “Dialoghi”?
Con la casa editrice “Dialoghi” mi sono trovato bene perché hanno investito su di me. Ho avuto a disposizione un editor ed un addetta stampa. Hanno curato l’impaginazione e la creazione della prima pagina. Come prima esperienza mi ritengo soddisfatto. Ci tengo a precisare che non è un editore a pagamento, perciò non pubblicano tutto ma premiano il merito.
-Come mai non hai valutato la soluzione di pubblicare in self?
Non ho mai valutato tale possibilità poiché dopo aver inviato il libro a 7 editori, ho avuto 4 pareri positivi quindi ho scelto di affidarmi a persone competenti nel settore. Ho scelto “Dialoghi” poiché mi ha fatto la proposta migliore. Per il futuro, non escludo tale opzione, che negli ultimi anni sta dando buoni frutti.
-Cosa bolle in pentola?
Mi piacerebbe pubblicare una raccolta di poesie che ho scritto tempo fa, oltre che concludere un romanzo che ha come tema il calcioscommesse, altra piaga sociale del nostro tempo. Inoltre essendo relatore e referente di ADMO, un’associazione che va alla ricerca di donatori di midollo osseo, mi piacerebbe pubblicare qualcosa sul tema. La scrittura mi piace, quindi non voglio fermarmi qui. Non sarà mai un lavoro ma non abbandonerò mai questa mia passione.
-Cosa farai “da grande” ?
L’anno prossimo frequenterò il quinto anno di Giurisprudenza. Dopo la laurea mi piacerebbe diventare procuratore sportivo e curare gli interessi degli atleti. Come piano b, mi piacerebbe diventare collaboratore interno del giornale per cui scrivo, diventando così un giornalista a tutti gli effetti.
-Spazio libero, scrivi ciò che vuoi…
Ti ringrazio per lo spazio che mi hai gentilmente concesso. Voglio dire soltanto una cosa ai miei coetanei che sognano di pubblicare un libro: realizzate quel sogno, provateci sempre. Se non va una volta ed il manoscritto non piace, pazienza. Pubblicare è mettersi in gioco, esporsi alla critica, costruttiva o meno.
Diffidate da editori a pagamento, chi crede nel vostro manoscritto è pronto ad investire su di voi.
Grazie Andrea, speriamo di vederci in libreria…o a San Siro !
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