"Fino alle fine della mia" di Andretta Baldanza
Oggi abbiamo il grande piacere di condividere il nostro caffè virtuale
con Andretta Baldanza.
Mi correggo subito, più che un caffè, dobbiamo scegliere tra una
Guinness e un Irish coffe, infatti la nostra autrice ha un debole per l’Irlanda
e la Scozia, tanto che i suoi lavori sono ambientati al di là della Manica o
comunque tra le onde del mare dei Vichinghi.
Prima di addentrarci nell’intervista, non posso fare a meno di
confidarvi il mio stupore per il nome della nostra autrice. Andretta, mai
sentito prima.
Siamo troppo indiscreti se chiediamo direttamente a lei?
-Ciao Andretta, perdonami per la curiosità: ma da dove salta fuori il tuo nome di Battesimo?
Allora… la mitologia famigliare vuole che mio padre, quando lavorava a contatto col pubblico all’inizio della sua carriera, abbia incontrato una donna che portava questo nome e ne sia rimasto folgorato. Dal nome, non dalla donna. Tuttavia, mia mamma sostiene tutt’oggi che doveva senz’altro essere una donna piuttosto avvenente (non sono esattamente queste le parole che usa, ma mi hai capita…) altrimenti non gli sarebbe rimasta così impressa. Comunque… a quanto pare quel giorno mio padre decise che se avesse mai avuto una figlia, l’avrebbe chiamata Andretta.
Questa è cattiveria! Dunque, considerando che del rugby mi piace l’ambiente ma assolutamente non lo gioco, direi che mi tengo la birra. Si può avere rossa?
-In questo lavoro, Malcom, il protagonista, vive sentimenti forti e in
contrasto (amore, passione, dolore, paura). Quale tra questi è il sentimento
che ti appartiene di più?
Assolutamente l’amore e la passione! Sono fermamente convinta che siano le cose per le quali vale la pena vivere, e quindi anche quelle di cui vale la pena scrivere. Non scrivo romance ‘puri’, nel senso che ci sono sempre elementi riconducibili ad altri generi nel mio lavoro, ma una storia passionale non manca mai. Cos'è la vita senza emozioni?
Sempre e comunque! Qualunque tipo di amore.
La trama si svolge a Edimburgo (come quella di “Lo spazio tra noi”), i
due protagonisti sono Daniel (un operaio dei cantieri navali con un segretuccio) e Liam, un
giocatore di rugby irlandese trasferitosi in Scozia per seguire la sorella
minore, che ha vinto una borsa di studio alla facoltà di medicina di Edimburgo
(che è la più antica del mondo). I due intrecciano una storia d’amore complicata
(siamo nel 1991 in un paese fortemente cattolico) ma molto profonda e commovente.
Oh, qualcosina c’è. Il più evidente è il personaggio di Caylin Cameron, protagonista di “Lo spazio tra noi”, lei è praticamente il mio clone. È piccolina di statura e ha gli occhi verdi, ed è una nerd di prima categoria, appassionata di film e serie tv. Come me, le piace parlare per citazioni e infatti il libro è stato definito ‘un’opera citazionista’. Ci sono tantissime frasi tratte da libri e/o film famosi (tutte con la loro debita nota di spiegazione, naturalmente), per la maggior parte pronunciate da Caylin stessa. Inoltre, ha una casa colorata come la mia e una gatta rossa che si chiama Scarlaid in onore di Rossella O’Hara di “Via col vento” che è il suo (e mio) film preferito!
-Quando stabilisci che un tuo libro è finito? Dopo l’ultimo punto, o
dopo averlo visto in carta&ossa?
in modo poco accurato. I miei libri non sono praticamente stati toccati,
perché «andavano già bene così» quando ho firmato, e come editor ho avuto a che
fare con autori disperati che mi contattavano
dopo che la loro casa editrice aveva già revisionato il testo,
dicendomi che la revisione faceva pena e chiedendomi di ri-editare il romanzo
da capo. Perciò mi chiedo: a che pro?
A un distopico. Te l’ho detto che sono indisciplinata, no? Ho messo insieme il covid, un fatto di cronaca accaduto durante il lockdown e mio nonno partigiano, ed eccomi qui. Sarà la storia di un rapimento, in realtà, ma in uno scenario post apocalittico in cui ci sono state tre pandemie, una guerra e il potere è andato nelle mani di un dittatore. In Europa restano solo dodici città abitate, la capitale New London le Undici Colonie. I protagonisti sono Declan Mallory, capo della cellula della resistenza che porta a termine il rapimento, e Tayla Perry-Windsor, la figlia del dittatore e vittima del sequestro. Siamo nel 2097.
Durante la stesura di “The viking chronicles”, come dicevo, ho studiato parecchio, perché volevo dare una certa accuratezza ai lettori. Gli avvenimenti sono tutti inventati, ma per quanto riguarda invece l’organizzazione sociale, la religione, riti, vita quotidiana ecc… è tutto documentato. Sono venuta così a sapere che l’immaginario che abbiamo dei vichinghi è tutto sbagliato. Non erano alti, non erano biondi e non portavano elmi con le corna, tanto per dire. La cosa più sorprendente, però, riguarda i riti matrimoniali. Erano molto complicati e comprendevano un pre-fidanzamento, poi un fidanzamento ufficiale e alla fine il matrimonio vero e proprio. Dopo le nozze, i due sposi erano incoraggiati a bere per un mese idromele l’uno dalla coppa dell’altro, per due ragioni: la prima era l’esigenza di aumentare l’intimità (i matrimoni erano spesso combinati) e la seconda è che il miele, da cui si ricava l’idromele, aumenta la fertilità (o così pensavano loro).
Quindi: un mese (cioè una luna) bevendo distillato di miele. Da qui la
definizione di luna di miele.
Carino, eh?
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