Chapeau...Ciro Linardo.

Oggi iniziamo dalla fine. 
Parleremo del libro, del suo autore, del luogo magico in cui lavora, ma permettetemi di sottolineare un aspetto importante, significativo. Un quarto del ricavato delle vendite del libro in questione sono devolute in beneficenza al popolo saharawi. 
Mi inchino di fronte a Ciro Bruno Linardo e al suo “Procida non deve morire” . 

-Complimenti di cuore per l’iniziativa Ciro-Bruno, ma come ti devo chiamare? 
Sono nato a Pozzuoli in una piovosa domenica mattina. Correva l’anno 1972 e mia madre era indecisa sul nome da attribuirmi, ma papà le fugò ogni indecisione dichiarandomi Ciro, come il suo papà, giovane vittima del secondo conflitto bellico mondiale. Mamma però, per nulla arrendevole caratterialmente, mi chiama da sempre Bruno perché sono nato con la pelle scura.

-Ciro/Bruno, mare/deserto, c’è sempre un contrasto nel tuo essere?
Come in ognuno di noi, anche in me convivono due anime. Ciro è lo scugnizzo temerario e guascone, mentre Bruno è lo studioso, compìto ed educato. Entrambi però hanno un grande motore che è la curiosità e una dose doppia di sensibilità.

-Come sta Procida? Isola di Vivara è sempre così bella? 
Procida è uno scoglio incantato. Meno di quattro chilometri quadrati, una densità abitativa che la rende l’isola più popolosa del Mediterraneo, ma contemporaneamente un luogo magico dove regna una dimensione sospesa nel tempo e nello spazio. Consiglio di visitarla in primavera o autunno quando si può apprezzare meglio la sua autenticità. Vivara purtroppo è difficilmente fruibile poiché è giustamente protetta, ma sono ancora poche le occasioni per visitarla. Spero che si possa migliorare questo servizio, organizzando un numero maggiore di visite guidate.

-Hai iniziato a scrivere relativamente tardi. Come mai?
Dovete sapere che io ho frequentato l’Istituto tecnico commerciale perché amavo, ed amo ancora, le materie tecnico/scientifiche. L’italiano, e la letteratura in particolare, era la mia materia “spreferita” (consentitemi il neologismo). Poi, all’improvviso mi è scoppiata dentro una voglia matta di raccontare una storia che unisse due mie passioni per Procida e i procidani e per i saharawi, la loro storia ed il deserto in cui vivono esuli. Due luoghi e due popoli lontani geograficamente, morfologicamente e culturalmente che ho unito con un ponte ideale fatto di valori semplici ed autentici che identificano le popolazioni. Sono fiero quindi di rappresentare la riscossa di tutti i 6- ai compiti scritti di italiano ed il trionfo invece di chi crede nei propri sogni, seppure ambiziosi.

-Dove hai trovato la scintilla per scrivere?
Ho definito il mio un “boat book” perché è stato ideato e scritto a bordo della romantica Motonave Macaiva, che tutti i giorni effettua la tratta Pozzuoli-Procida e viceversa.

-Come nasce “Procida non deve morire”?
Inizialmente volevo narrare il mio amore per quest’isola che mi è entrata dapprima sottopelle e poi fin dentro le vene che l’hanno portata ad assurgere a ruolo di protagonista del mio cuore. Ritengo che il panorama visto dalla terrazza dei cannoni non abbia eguali al mondo. Poi, su suggerimento di Betta, una mia amica/collega a cui ho riservato il ruolo di protagonista femminile, ho deciso di scrivere un romanzo, un noir mediterraneo, per rendere più accattivante la trama. Approfitto quindi per parlare della storia del popolo saharawi, a cui è stata sottratta la propria terra dopo un’occupazione militare e che oggi lotta con le armi della diplomazia e della cultura per ottenere l’autodeterminazione e per riappropriarsi della terra natìa.

-Quanto ti assomiglia Giovanni (il protagonista)?
Giovanni, per gli amici Angelo, mi somiglia molto. La sua storia è per molti versi la mia, ma anche in Moulay c’è molto di me e del mio mondo interiore.

-Ci sarà un seguito ? Hai in mente già un secondo lavoro? Stesso genere?
Senza spoilerare nulla vi dico che i miei lettori hanno chiesto a gran voce che la storia continui ed io sto già lavorando alla stesura di “Fiori nell’Hammada”. Cambio genere, cambio location e cambio voce narrante. La monotonia mi annoia terribilmente.

-Quale obiettivo ti sei prefissato in termini di vendite?  L’obiettivo è solo avere la propria creatura tra le mani, oppure scalare classifiche?
Come accennato, ho scritto per evitare che mi esplodesse il cuore dalla cassa toracica e per tributare
un’ode al mio “scoglio incantato”. Poi ho deciso di non tenere in un cassetto la mia storia, ma di proporla e di propormi come autore.
Dopo vario peregrinare, ho incontrato Edizioni Mea, una giovane casa editrice napoletana che ha creduto nel sogno di un perfetto sconosciuto. Il progetto è piaciuto, il testo ed i suoi contenuti hanno attratto gli editori che hanno deciso di pubblicarmi. Il libro è uscito a metà marzo, in piena pandemia. Il lockdown però ha favorito la lettura e di conseguenza le vendite. Sono già a quasi 650
copie vendute (una cifra che non avrei mai creduto di raggiungere) ed il mio obiettivo dichiarato è
#MilleCopie.

-Rapporto con la casa Editrice. Come l’hai trovata, come ti sei trovato, come va?
I rapporti con i miei editori sono ottimi. Ho scoperto di essere molto esigente con me stesso ed anche con loro e devo dire che mi stanno sopportando, oltre che supportando.

-Spazio aperto: scrivi ciò che vuoi, dedicato a chi vuoi….
Il mio obiettivo è divulgare questo testo nella scuole, come libro di narrativa. #ProcidaNonDeveMorire infatti narra di tolleranza, di amore, di amicizia e soprattutto di valorizzazione delle differenze culturali e religiose, fisiche e morali. C'è un gran bisogno di affrontare questi temi nella maniera giusta per diffondere una cultura sana che contrasti gli episodi di cronaca nera, troppo frequenti ultimamente.
Inoltre il libro persegue un progetto umanitario importante. Il 25% dei miei introiti derivanti dalla
vendita dei libri sarà devoluto alla causa del popolo saharawi. Quindi correte in libreria, sul sito di
Edizioni Mea oppure su Amazon a comprare #ProcidaNonDeveMorire – un saharawi con il mare
nel cuore.
Grazie per l’attenzione che mi avete dedicato


 

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