In viaggio con Raffaele Mutilipassi.

Quando il proprio destino è scritto nel  cognome. Raffaele Mutalipassi, il protagonista del racconto di oggi, ne ha fatta di strada. Nato in provincia di Salerno (Perdifumo), dopo pochi anni si trasferisce a Valmontone (Roma), per poi andare in Toscana. Da lì, il lungo percorso all'estero che parte dalla Somalia e arriva fino in Bolivia, dove vive tuttora. Questo grande bagaglio di esperienze si è poi concretizzato nel proprio lavoro: “La vita ostile” che ci racconta assieme a tante curiosità della propria vita. 


-Ciao Raffaele, come ti definiresti ai nostri lettori? 
Sono nato a Perdifumo in provincia di Salerno nel 1951. Subito dopo la mia famiglia si sposta a Salerno. Nel 1954 mi ritrovo a Valmontone (RM) da dove, nel 1962, ci trasferiamo a Roma. Qui trascorro un’adolescenza travagliata. Dopo aver abbandonato la scuola dell’obbligo, solo a diciotto anni conseguo la licenza media. A venti mi diplomo geometra da privatista. A venticinque lavoro come operaio in una filatura di Prato. Nel 1979 mi laureo ingegnere. Nel 1981 effettuo la mia prima missione di lavoro in Somalia. Dopodiché accumulo quasi quaranta anni di esperienza nella gestione, coordinazione e valutazione di programmi e progetti di cooperazione internazionale finanziati soprattutto dall’Unione Europea. Dal 2018 sono pensionato residente in Bolivia, paese dove è nata la mia unica figlia. Questo è il mio primo libro e mi potrei definire un autore amatoriale indipendente amante della vita. Nella vita io ho da sempre perseguito l’aforisma di Sigmund Freud: “Gli uomini non possono restare per sempre bambini ma devono andare ad affrontare LA VITA OSTILE”. Il titolo del libro deriva da questo aforisma.


-Un grande conoscitore del mondo. Partiamo dalla fine: come si vive in Bolivia?
In Bolivia si vive benissimo specialmente nella città di Santa Cruz de la Sierra dove io sono residente. Il costo della vita è medio-basso ed i servizi ai cittadini sono buoni. Questa città rappresenta la Milano boliviana (specialmente dopo la scoperta dei grandi giacimenti di idrocarburi) ed era chiamata la città giardino per la sua architettura e la sua vegetazione lussureggiante. A Santa Cruz la gente è per lo più tranquilla ed educata, i ritmi della vita sono molto poco convulsi grazie anche ad una tradizionale attiva vita sociale con amici e conoscenti. Negli ultimi anni si sono avuti però molti aspri scontri politici tra le istituzioni e la popolazione locali ed il governo centrale.

-Ti manca l’Italia?
Il libro racconta anche il mio amore struggente per l’Italia e l’odio viscerale per gli italiani. Quando alla fine degli anni 70 me ne sono andato dall’Italia per andare a lavorare all’estero l’ho fatto perché volevo tagliare i ponti con l’Italia. Un paese che tradisce il proprio passato ed i propri figli. Gli italiani si erano dimenticati di me ed io mi volevo vendicare dimenticandomi di loro. Dopo una vita vissuta al di fuori dell’Italia ho capito che la prima grande opera d’arte che abbiamo è l’Italia stessa. Un capolavoro realizzato insieme dal Creatore e dalle antiche genti italiche. Solo gli italiani contemporanei non se ne rendono conto e fanno poco o niente per preservare tutto quello che i nostri avi ci hanno lasciato. Preservare questa bellezza garantirebbe ai politici italiani il favore popolare ed al popolo italiano un benestare perenne e la riconoscenza del mondo intero.

-Cosa hai riportato dentro di te dai tuoi numerosi viaggi? 
Esperti hanno analizzato da più di 600 fonti i principi morali e sociali dell’umanità. Si è scoperto che in tutto il mondo vengono osservate sette regole fondamentali: aiutare la famiglia, aiutare i membri del proprio gruppo, ricompensare il bene con il bene, essere coraggiosi, obbedienza alla gerarchia, distribuire equamente le risorse e rispettare le proprietà altrui. Ecco a parte il principio di obbedienza alla gerarchia io mi ritrovo in tutti gli altri sei principi.


-Il posto più bello in assoluto che tu abbia mai visto?
Nel libro racconto di quasi tutti i miei viaggi di lavoro in più di 40 paesi in via di sviluppo sparsi su tutti i continenti. Tutti sono stati avventurosi ed istruttivi. In assoluto potrei citare le mie due missioni in Belize ed in India. Il Belize è un piccolo paese caraibico incredibile, bellissimo, poco popoloso circondato da un mare stupendo, senza dubbio il mare più bello che io abbia mai conosciuto mentre in India mi è rimasto indelebile un viaggio in macchina, di un paio di giorni, che ho fatto per raggiungere Patna, la capitale del Bihar, lungo la strada che costeggia le pendici del lato sud della catena dell’Himalaya che si stagliava maestosa e nitida alla nostra sinistra: uno spettacolo da mozzare il fiato.

-Come nasce l’idea di un libro? 
Il libro è un’autobiografia dedicata soprattutto a mia figlia di 20 anni che ha vissuto da sempre lontano dall’Italia affinché conosca e rifletta sulle radici di suo padre e della mia famiglia di origine.
Quando un paio di anni fa sono andato in pensione mi sono accorto che mia figlia non mi conosceva. Come padre assente mi sono sentito nella obbligazione di dedicarle questo libro.

-“La vita ostile”, un lavoro autobiografico. Ce lo puoi descrivere?
Arrivato a settanta anni con l’impalpabilità delle cose della vecchiaia ho sentito la necessità di fare un po’ d’ordine attraverso la rigorosa cronaca della mia vita. Questa è un’età importante per tutti. A questa età si fa il bilancio della propria esistenza e in tutta franchezza mi sono accorto di essere stato molto fortunato e che quello che ho fatto non è stato del tutto inutile. Avrei la presunzione di voler comunicare molti messaggi:

   • Come a mia figlia vorrei dedicare il libro anche a tutti i suoi giovani coetanei che stanno per iniziare il loro percorso di vita. Però, credo, sia anche una lettura piacevole per i padri che possono ritrovare alcune atmosfere degli anni ’50 e 60’ quando la vita era meravigliosa.  

 • La forza di volontà di un ragazzino che da una frazione di un piccolo comune del Cilento, una delle zone più retrograde d’Italia, giunge a Roma con la propria famiglia nel pieno del boom economico degli anni ’60 e che da lì nonostante tutti i suoi complessi e le grandissime difficoltà inizia la sua grande avventurosa cavalcata.

• Dovuto anche al fatto di non aver potuto coronare il mio grande sogno di diventare un calciatore professionista, mi sono preso le mie rivincite sulla società che mi circondava e che mi sottovalutava diventando un ingegnere molto apprezzato avendo lavorato in più di 40 paesi in via di sviluppo nel campo della cooperazione internazionale.

• Data la mia grande passione per il calcio, ho accompagnato la storia della mia vita attraverso il filo conduttore dei campionati mondiali di calcio dal 1958 al 2018 ricordando gli episodi salienti, buoni o cattivi, che determinarono i risultati della nazionale italiana di calcio.

• Il racconto non è strettamente legato alle mie vicissitudini personali ma si svolge sullo sfondo dei grandi avvenimenti che hanno caratterizzato la storia degli ultimi 70 anni.

Racconta inoltre delle mie missioni di lavoro degli anni ’80 nei paesi dell’Africa nera più profonda ed il lavoro in America Latina degli anni ’90; Fino ad arrivare agli anni 2000 durante i quali sono stato consulente in nome e per conto della Unione Europea in molti progetti di ingegneria.

• È un libro che al tempo stesso rappresenta lo specchio della mia generazione che è stata unica e che a poco a poco sta scomparendo. La generazione artefice della più grande rivoluzione giovanile della storia dell’umanità, quella del ’68, con tutti gli stravolgimenti politici, culturali e sociali che ne sono conseguiti che è cresciuta con la televisione e che è stata protagonista anche della globalizzazione e dell’era digitale.

• Francamente credo di aver avuto una vita straordinaria, fuori dal comune. 

Il filosofo Luciano De Crescenzo diceva che la lunghezza della vita si misura dal numero dei giorni diversi tra loro che un individuo ha vissuto. Tutti gli altri giorni quelli uguali non si contano. Ed io di giorni diversi ne ho vissuti moltissimi.

-Quanto è difficile scrivere un’autobiografia? Non senti di metterti a nudo verso l’esterno? 
Mi è venuto tutto d’istinto. Appena ho cominciato a scrivere mi è venuto tutto di getto fino alla fine. Il libro è strutturato in 9 capitoli ognuno diviso per decadi (anni ’50, ’60 e così via) tranne il primo e l’ultimo. Il primo capitolo è dedicato alle mie origini con un nonno agricoltore che negli anni’30 vince la battaglia del grano nella provincia di Salerno e l’altro nonno emigrato a New York che fu l’unico dei suoi otto fratelli che fece ritorno in patria per farsi la sua famiglia e finire i suoi giorni al paesello d’origine. L’ultimo capitolo che ho chiamato il “Tempo della Consapevolezza” riguarda invece la vecchiaia dei giorni attuali e alcune considerazioni sull’Italia di oggi. Come accade spesso a chi scrive di sé stesso nulla viene nascosto della propria vita privata. Le confessioni a 360 gradi sono inevitabili passando da notizie di vita normale ad altri aneddoti a volte anche scabrosi. Per me scrivere il libro è stata come mettere ordine agli avvenimenti trascorsi e la necessità di “vuotare il sacco” sia sulle delusioni che sulle soddisfazioni. Per me è stato come un’analisi introspettiva. Alla fine ho capito che è stata una vita dalla duplice lettura: a volte mi sento un eroe altre volte un vigliacco. Questo dilemma lo devo ancora risolvere dentro di me.

-Nel tuo sottotitolo si parla di felicità. Cosa è per te la felicità? 
L’aforisma che ho inserito nel titolo del libro è quello di un poeta arabo che dice che “la felicità non è una meta da raggiungere, ma una casa in cui tornare; non è davanti ma dietro; tornare non andare.” Secondo me è molto profondo perché anche considerando il titolo del libro La vita ostile ho cercato di sfatare il mito della cosiddetta felicità vissuta come obiettivo da raggiungere, perché la felicità, a volte se non sempre, è il luogo dove far ritorno. Spesso è ciò che abbiamo già, ma che non vediamo forse per troppa superficialità. Un passato dove tornare, e non come di solito si crede, un futuro da raggiungere.

-Quali sono i suoi punti di forza che emergono dal libro? 
Senza dubbio uno dei punti forza è la copertina partorita da un disegno di Valeria, mia figlia, colorata e vivace con due occhi grandi come il mondo e il sole e la luna che fanno comprendere quanto nella vita la luce non possa esistere senza il buio e viceversa. Per quanto riguarda altri punti di forza potrei segnalare una recensione che ho ricevuto con grande soddisfazione mia su Amazon da parte di una mia lettrice inaspettata americana che vive negli USA: “Il romanzo è pieno di emozioni e sentimenti. Ci mostra l’Italia del passato ma sempre dipinta dalle esperienze dell’autore. Personalmente, non solo lo raccomanderei per quelli che hanno vissuto quell'epoca ma anche alle generazioni più giovani. Il libro mi ha fatto viaggiare in tanti posti belli del mondo dove l’autore ha lavorato. Insomma, facile da leggere, molto interessante, appassionante e sincero.”

-Stai lavorando a qualche altro progetto di scrittura?
Si sto pensando di scrivere un libro sulla filosofia applicata ai nostri giorni.

-Com'è il mercato editoriale in sud America?
In Bolivia è un mercato molto ristretto ma in America Latina c’è molto fermento culturale e a parte i grandi maestri del passato ci sono molti autori di letteratura contemporanea di alta professionalità. D'altronde l’America Latina ha una storia molto articolata e ci sono tanti avvenimenti ancora sconosciuti che devono essere raccontati.

 

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