Poesie, poesie, poesie...



Tra le proposte di interviste per il nostro blog, vi confesso che sono rimasto particolarmente colpito dal titolo di questa silloge di Simone Migliazza: “Un estuario fecondo d'isole” . 
Un estuario di addice a un fiume, non a un’isola. Il sostantivo corretto per raggruppare le isole è arcipelaghi. Qualcosa non mi quadra. Lo chiedo all'autore? No, provo prima a scoprirlo da me. 
Leggo le poesie. 
Una di esse fornisce il titolo al lavoro, ma il fatto che tante poesie scivolino via come un fiume calmo, in un’opera suddivisa in piccole-grandi isole, può essere la spiegazione. 
Lascio a tutti voi, per chi vorrà leggerle, di farsi una propria idea.  
Ora conosciamo l’autore, Simone Migliazza, nato in provincia di Catanzaro  ma “trapiantato”  nel Lazio. 

-Ciao Simone, descrivici la tua adolescenza a Girifalco. Quanto ha influito sul tuo carattere il Sud, la Calabria?
Enormemente. La mia infanzia e la mia adolescenza hanno gli odori e la luce di quel piccolo paese.
Il sud, al contrario di quanto dice chi lo vorrebbe esclusivamente esempio di malavita e arretratezza, per me è una luce come nessun’altra che si stende sulle cose e sul mondo. Quella luce che ha regalato al bambino che ero un’esperienza della natura e dei rapporti umani che una grande città come Roma, realtà che ho conosciuto più tardi, per sua costituzione non può dare a un bambino. Quel bagaglio d’esperienze che mi sono costruito fino ai 18 anni, mi accompagna tutt’oggi.

-La vita a Latina a Roma. Cosa hai “ perso”, cosa hai “ guadagnato”?
Prendere le distanze dal mondo della mia infanzia ha significato in primo luogo rendersi consapevole dei suoi limiti. Mi riferisco in particolare ad una certa mentalità ristretta rispetto alla quale i miei genitori fino ad un certo punto hanno costituito un valido argine ma che, diventando adulto e dovendomi relazionare col mondo, soffrivo sempre più. Andare via mi ha fatto guadagnare, probabilmente, una visione più oggettiva di quanto lasciavo, vedendo luci e ombre di quel piccolo mondo. Latina e in particolare Roma mi hanno dato la possibilità di entrare in contatto con una realtà in cui la bellezza della storia ti sorprende ad ogni angolo e dove le sollecitazioni culturali provenienti da cinema, teatri, musei, mostre, eventi fra i più diversi nutrono tutte le anime affamate di bellezza.

-Come nasce uno scrittore di poesie?
Non saprei dare una risposta valida per tutti. Posso dirti come io ho iniziato a scrivere poesie: leggendole. Ed ho un ricordo preciso. Una mia carissima amica mi fece leggere “Il re degli elfi”, la ballata di Goethe dall'antologia delle superiori in traduzione italiana, nessuno dei due conosceva il tedesco. Mi fulminò. Avevamo io quattordici e lei quindici anni. All'epoca passavo molto tempo insieme a lei e altri amici in un appartamento fatto di pochi mobili. Era di proprietà dei suoi parenti che non lo abitavano e noi lo avevamo riempito di libri, cd e videocassette. Leggevamo ad alta voce i passi che ci piacevano, ascoltavamo Guccini e De Andrè, guardavamo film. È in questo contesto, che ricorda vagamente l’ennesima setta dei poeti estinti ma più poliedrica, che tutti noi provammo a scrivere “cose”, chi poesie, chi canzoni. A quell'epoca risalgono i primi versi. Da allora non ho più smesso.

-E’ vero che chi scrive poesie ha un’anima più sensibile del normale?
Credo che chiunque si dedichi all’arte, in ogni forma, senta di aver colto qualcosa che meriti d’essere comunicato. Il poeta - come il pittore, il musicista, lo scultore etc. - canta affinché qualcuno ascolti. Egli crede che nell’uomo, potenzialmente in tutti gli uomini, ci sia la facoltà di far risuonare quella voce segreta delle cose, quel sentimento di pienezza della vita che nel quotidiano tende a sopirsi. Non è allora tanto importante che il poeta colga, ma che egli riesca ad instaurare un legame con coloro ai quali si rivolge. Il poeta, come ogni artista, non fa altro che ricordare all'uomo quanto sia ricca l’esistenza. Senza nessuno che la fruisca, tutta l’arte sarebbe completamente inutile.

-Com'è nata la tua opera? Dove hai trovato l’ispirazione?
“Un estuario fecondo d’isole” è nato a posteriori.
Voglio dire che nel momento in cui ho scritto i testi non sapevo avrebbero formato un’unica opera. Sono poesie che risalgono ad anni diversi, a momenti fra loro lontani all’interno delle quali, tuttavia, mi è sembrato d’intravedere un filo rosso che le unisce per modalità espressive e temi trattati. Mi sono limitato a portare in superficie quel qualcosa che le avvicinava, a renderlo manifesto: per questo non è stato difficile organizzare la struttura dell’opera nelle sue sezioni e sottosezioni. L’estuario fecondo d’isole cui fa riferimento il titolo è quello spazio di confine in cui, come isole alla foce di un grande fiume, la poesia si offre in quanto esperienza della Bellezza (intesa come pienezza del vissuto e non in senso estetizzante). La Poesia è ciò che ci ri-mette
in contatto col senso profondo delle nostre vite.

-C’è un luogo in cui ti ritiro per scrivere?
Non ho un luogo deputato a scrivere, molto spesso fisso l’idea estemporaneamente sul mio cellulare e ovunque mi trovi per poi tornarci sopra a “limare”, in un secondo e terzo momento.
-Preferisci scrivere in silenzio o con la musica?
Preferisco il silenzio. La musica, quando c’è, merita tutta l’attenzione disponibile. Come si potrebbe, ad esempio, ascoltare il quintetto di Schubert e pensare ad altro? Impossibile.

-Che ruolo ha la musica nella tua vita?
La musica è presente tanto quanto la poesia: mi piace suonarla (suono il pianoforte), ascoltarla, perfino parlarne. Ogni arte, ma questo è un parere personale e assolutamente discutibile, in segreto tende alla musica, a comunicare con la sua stessa immediatezza.

-Ti piacerebbe essere riconosciuto per strada per una musica suonata o per una poesia scritta?
Mi piacerebbe essere riconosciuto da qualcuno come un tizio che gli ha lasciato qualcosa di bello, in un modo o nell'altro. Mi basterebbe.
 
-Qual è il sogno nel cassetto?
Riuscire a vivere andando a sempre a caccia della Bellezza, che questa passione non si spenga.

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