Una leggenda inca: Tiwanaku.

 

  

In una mia esperienza lavorativa ho avuto modo di conoscere un critico d’arte. Ho imparato tanto da lui. Aveva un punto di osservazione diverso, privilegiato, un occhio diverso nel vedere l’arte in generale. Un po’ fuori dagli schemi, o perlomeno da quegli schemi che la mia cultura mi imponeva. Grazie a lui ho allargato molto la mia conoscenza e il modo di vedere il mondo circostante. La protagonista di oggi, Cristina Belloni, critica d’arte e scrittrice, mi scuserà per questo incipit personale, ma il richiamo a questa professione così affascinante, mi  ha fatto ricordato una persona davvero speciale. Cristina ha curato numerose mostre, decine di eventi, collabora con riviste di settore, ma la nostra attenzione oggi la focalizziamo sull'ultima opera, il romanzo del 2018 “Tiwanaku La Leggenda” ispirato alla storia ed alle leggende delle Ande pre-incaiche.


-Ciao Cristina, come si sente oggi un critico d’arte?
Direi molto spiazzato! L’arte è comunicazione e l’arte contemporanea, in questa era dove la comunicazione è onnipresente e soverchiante, non ha ancora trovato il linguaggio, o se vogliamo la spinta filosofica, che potrebbe ridarle il ruolo di esperienza trainante delle coscienze. Quindi tante immagini, sia materiali che digitali, ma restano solo “immagini” più o meno provocatorie, che non si discostano però, di molto dal marasma di figure e forme che ci bombardano ogni giorno.

 -Quanto è conosciuta e apprezzata oggi la tua professione?
La mia professione è conosciuta principalmente all'interno del mondo della conoscenza e della commercializzazione dell’arte. Quindi in un ambito specifico. Personalmente mi interessa occuparmi di linguaggi contemporanei, in quanto mi piace scoprire i “perché” delle cose e quindi anche e soprattutto perché l’espressione analogica umana si evolva in certi ambiti ed anche quali potranno essere gli esiti futuri della disciplina artistica.

-Più facile curare una mostra o scrivere un romanzo?
È senz'altro per me più facile curare una mostra. L’ho fatto per molto tempo e so riconoscere un prodotto artistico valido, sia tecnicamente che esteticamente, ed è sempre una piacevole esperienza. Creare un romanzo  richiede invece un lavoro capillare sia sulla storia di per se stessa che sulla costruzione dei personaggi e del testo. Però è un’attività che mi intriga e mi diverte.

-Dalla Lunigiana alla Liguria… alla ricerca del mare?
Veramente no, sono stata portata in Liguria che ero molto piccola, a causa del lavoro di mio padre. Sono molto legata comunque alla mia terra di origine che ha per me un valore affettivo e culturale molto grande. Amo la Liguria e mi considero ormai ligure ed ho imparato ad apprezzare le consuetudini e specificatamente la cucina di questo territorio.

 -“Tiwanaku. La leggenda” Dove si trova l’ispirazione per scrivere un romanzo Fantasy?
Leggo molto e non disdegno nessun genere narrativo, però preferisco in assoluto la letteratura che abbia in se qualcosa di “fantastico”, il mio autore preferito è Gabriel Garcia Marquez. La storia mi è scaturita quasi da sola e ho cercato di svilupparla al meglio.

 -Appassionata di storia Inca? Perché proprio Tiwanaku?
Appassionata di storia in generale e di antiche narrazioni tradizionali. Le rovine della città di Tiwanaku (o Taipikala come si chiamava anticamente) vicino al lago Titicaca sulle Ande tra Bolivia e Perù,  possiedono di per se un’aura di mistero, non essendo ancora state datate archeologicamente  e non avendo ancora svelato chi possano essere stati i suoi edificatori. Questo mi ha spinto a documentarmi ed a scoprire le storie e le leggende che aleggiano attorno a questo sito.

 -La scelta dei protagonisti del tuo romanzo è casuale? Chi sono i tre ragazzi?
I protagonisti individuali del romanzo sono del tutto inventati, come sono inventate alcune delle creature magiche che popolano il racconto. Mentre i popoli degli Huari e degli Aymara hanno effettivamente abitato l’altopiano del lago in epoca pre-incaica. Gli Aymara ancora risiedono sulle Ande. Anche certi esseri soprannaturali sono ripresi dalle leggende che animano quei luoghi. Dei tre ragazzi due appartengono all'etnia Huari, mentre il terzo è un trovatello, probabilmente appartenente al popolo dei Samaru, accolto nella comunità. Sarà lui ad essere rapito dal drago piumato e a determinare l’avventura vissuta dai suoi due coetanei.

-Ci puoi anticipare se la storia è a lieto fine?
Si certo, la storia ha un lieto fine, ma è aperta ad un nuovo scenario che conto di scrivere a breve. Un’altra avventura che spiegherà la scomparsa del popolo Huari dall’altipiano.

 -Casa editrice Albatros. Come ti sei trovata?
Sinceramente mi sono sentita lasciata sola. La casa editrice non mi ha per nulla supportato nella divulgazione e pubblicizzazione del libro. Non so se questo sia una prerogativa del mercato editoriale che tende a pubblicizzare libri di persone già note, ma, devo dire, che non mi sono sentita di fare  parte di un gruppo.

-Qual è il riscontro sul mercato? Soddisfatta?
Il mercato del fantasy non è un ambito facile. Sia perché si immagina  il racconto fantasy ambientato in uno scenario “medioevaleggiante” tipico della produzione più nota, sia appunto perché il mio libro si discosta alquanto dalla narrativa classica. Però ho avuto molte soddisfazioni dai lettori che hanno apprezzato la storia ed il mio modo di scrivere. Purtroppo la casa editrice, a distanza di un anno e mezzo, non mi ha ancora fatto avere le quote di vendita.

-Spazio aperto: scrivi ciò che vuoi a chi vuoi…
Attualmente sto ultimando un romanzo giallo, che avrà come protagonisti gli stessi del mio primo libro: ”La Strana Faccenda di via Beatrice D’Este” e successivamente ho appunto intenzione di continuare la saga del popolo Huari  e dei tre ragazzi, in fuga dall'altipiano del lago Titicaca.
Allora non ci resta che augurarle buon lavoro!

 




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